23 Ott Fragilità
di Rolando Gualerzi
Ci sono emozioni forti ed emozioni deboli,
virtù forti e virtù deboli,
e sono fragili alcune delle emozioni più significative della vita.
Sono fragili la tristezza e la timidezza, la speranza è l’inquietudine,
la gioia e il dolore dell’anima.
In cosa consiste la loro fragilità?
Eugenio Borgna
Antifragilità . Quando soffiano forti venti,
non costruire muri, ma piuttosto mulini a vento;
c’è un modo per convertire le fragilità
in combustibile per il miglioramento.
Proverbio cinese
Riconoscere la fragilità
È importante nel riconoscimento delle esperienze personali della fragilità non essere estranei alle tracce affilate, profonde e necessarie della speranza. Riconoscerle e confrontarsi in relazione con gli altri quando soffrono e chiedono senza parole un ascolto fiducioso.
L’interesse nell’individuazione precoce di uno stato di fragilità è in buona parte dovuto al fatto che il processo che conduce alla fragilità può diventare reversibile (in tutto o in parte), se precocemente individuato.
Per chi si ammala la sua visione del mondo si modifica, si ribalta, perché si modifica il rapporto del suo corpo con il mondo e si palesa una fragilità che l’ha trasformato da soggetto di azioni intenzionali a oggetto di attenzioni della medicina e della propria salute.
Perché la fragilità non perda la propria dignità
Cosa sarebbe la condition humaine
stralciata dalla fragilità e dalla sensibilità,
dalla debolezza e dalla instabilità?
Siamo in vita, alla ricerca senza fine degli stati d’animo, dei sentimenti e delle emozioni che sono negli altri e in noi, e della fragilità che ci accompagnano. Ci sono fragilità dolorose e spolpanti, fragilità che aiutano a vivere e altre che fanno pensare, fragilità rette dalla gioia e dalla malinconia, fragilità che non mutano con il passare del tempo e fragilità transitorie e fuggevoli.
Gianni Borgna – che ha dedicato pagine e libri al tema della fragilità – ci ricorda che ci sono ”le fragilità, che si rivelano nella malattia fisica e psichica, nelle condizioni di indigenza e di isolamento, di abbandono e di emarginazione, esilio di emigrazione. Ci sono anche le fragilità che si nascondono nelle sensibilità ferite dalla timidezza e dallo smarrimento, dal silenzio e dalla sventura. Sono umane fragilità che ci passano accanto nella vita di ogni giorno con le loro scie, impalpabili penombre ed inafferrabili fluorescenze che non è facile riconoscere”.
E poi ci sono le fragilità mascherate nei miti individuali e miti collettivi di questi decenni che ha descritto Umberto Galimberti: “idee che ci possiedono e ci governano come spettatori straniti”.
Le fragilità dei gruppi di appartenenza, delle comunità civili e delle economie e delle imprese e degli imprenditori e manager che si trovano -secondo i periodi storici o di mercato- con l’angoscia di perdere tutto quanto costruito; fragilità che si aggiungono a fragilità ricoperte di rancore e incapacità di ridare una prospettiva e un senso al loro operare e al loro improvviso insuccesso.
Fragilità viene da fragilis che, come ci ricorda Isidoro da Siviglia nelle Etimologie semplificate X, 101, si dice di tutto ciò che «può essere facilmente infranto». Fragile non segnala soltanto un negativo, ma lascia intendere che si parla di un positivo che deve essere assolutamente salvaguardato perché può essere facilmente infranto: perché non perda la sua dignità.
Costantemente impegnato nel suo essere nel mondo, ci suggerisce Martin Heidegger: “l’uomo deve fare i conti con la sua fragile condizione, che lo coinvolge in forma e misure diverse: nasciamo come esseri vulnerabili ed estremamente fragili. Sicché, la dignità dell’essere persona pone sempre una domanda: la domanda di cura e con essa una risposta: la presa in carico della fragilità umana”.
Giovani e fragilità
Una società che non vuole vedere i suoi “membri feriti”,
che rinuncia a guardare in faccia la fragilità.
Miguel Benasayag – Gérard Schmit
Rispetto a quanto accade e è accaduto negli ultimi decenni, e rispetto agli insegnamenti che si impartivano un tempo all’interno delle famiglia e che in massima parte coincidevano con quelli che giungevano dall’esterno e non vi era una differenza così evidente tra quanto in famiglia si condivideva nel giorno per giorno e quanto indicava la società nel giorno per giorno; dalla fine degli anni ’70-80 del secolo scorso le famiglie sono diventate meno capaci, perché in crisi anche in proprio per una certa parte, di essere riferimento per l’educazione dei propri figli. Sono via via (non tutte, ma una certa percentuale) diventate più fragili nel loro primario impegno, complice anche il grande fallimento del processo educativo del sistema scolastico. Sono diventate meno autorevoli rispetto alle promesse di futuro che potevano proporre e sostenere fino a quegli anni. Il mondo esterno, i modelli di società che hanno incominciato a disegnare un consumo sempre più bulimico carico di messaggi individuali (finita l’era dei mass media) sono arrivate in questi ultimi anni a proporre l’autoproduzione ed il consumo di informazioni che hanno incentivato fra i giovani, e non solo, una ‘politica’ della visibilità e della trasparenza, come finta libertà fra like e influencer attraverso i device digitali e i social, mescolando una fragilità quotidiana inconsapevole che incentiva ad esibire se stessi e che conferisce un carattere di liturgia, in una prigione digitale come ha scritto Byung-Chul Han.
L’appello al fragile futuro dei giovani – che alcune pensatori dei nostri tempi suggeriscono – tra oltre 50 guerre regionali e forse terza guerra mondiale, ci dicono che è cancellata ogni meta e quindi realizzazione del mondo su valori che non sono più della stabilità difesa e chiusa della Società della torre, di cui parla Goethe, ma della imprevedibile novità di eventi mai scritti: “bisogna andare cancellando la meta, salvando se stessi, inaugurando una visione del mondo radicalmente diversa che al pari del viandante accade insieme all’evento per dire sì al mondo e non a una sua rappresentazione cosmogonica e palliativa e calcolante da Intelligenza Artificiale. Non un’etica del viandante come anarchia e fragile erranza o del viaggiatore diretto a una meta finale. Il nomadismo è la delusione dei forti che rifiuta il gioco fittizio e calcolante delle black-box algoritmiche e del pensiero della Tecnica nel suo sviluppo delle tecnologie dirompenti fuori controllo.