07 Mag La sussunzione del lavoro nel capitale
di Manuel del Pino Berenguel
Se in Marx c’è un concetto imprescindibile per capire il momento in cui viviamo, è senza dubbio quello della “sussunzione del lavoro nel capitale”. Guarda caso è il concetto più trascurato nella tradizione marxista, a causa del fatto che il capitolo in cui Marx lo spiega espressamente non fu inserito nel Capitale e fu pubblicato per la prima volta in edizione bilingue russo-tedesca solo nel 1933 e tradotto in altre lingue negli anni tra i 60 e 70 del secolo XX°, quando si cominciò a utilizzarlo con cautela. Tuttavia la mancata utilizzazione del concetto ha cause più profonde. Perché questo capitolo, non pubblicato da Marx, non è senza connessioni da quello che si trova nel tomo I del Capitale, anzi, ne rappresenta il compimento. Di fatto Marx nomina il concetto in questo tomo per chiudere l’analisi della trasformazione storica del lavoro dalla cooperazione alla manifattura e alla grande industria con l’enunciazione di una tesi nodale del Capitale: la produzione specificamente capitalista è la produzione di plusvalore relativo. Quindi il contenuto del concetto di “sussunzione del lavoro nel capitale” si trova esposto nel Capitale e sta nel suo contenuto ‒ non solo nel termine che vi compare di sguincio, ‒ vale a dire: nella forma in cui si configura il lavoro nello sfruttamento capitalista.
Ciò che è stato trascurato è che il lavoro realizzato nel capitalismo non è un portato della “natura umana”, ma si conforma storicamente secondo il modo specifico dello sfruttamento. Marx mostra che, nello sfruttamento capitalista, la produzione di pluslavoro prende la forma di produzione di plusvalore attraverso l’acquisizione della forza lavoro in quanto merce, però mostra anche che la condizione perché questo avvenga è una forma specifica di realizzazione del lavoro: la quale si configura storicamente attraverso la sussunzione del lavoro nel capitale.
Nell’ultimo capitolo del tomo primo del Capitale, Marx espone l’accumulazione originaria (ossia il processo storico di costituzione dello sfruttamento capitalista) come la gestazione della scissione tra i soggetti che realizzano il lavoro e le condizioni di realizzazione del lavoro stesso, che comincia con la separazione di tali soggetti dalla proprietà dei mezzi di produzione. Con l’appropriazione dei mezzi di produzione da parte del capitale, il lavoro viene a realizzarsi sotto la sua volontà, sussunto nel capitale, ma ciò può avvenire solo in modo formale, perché deve realizzarsi ancora attraverso il sapere cosciente dei soggetti che lavorano, sapere che deriva dal soddisfare la realizzazione delle destrezze mediante l’uso di pratiche. È quanto succede nella manifattura nella quale si produce plusvalore assoluto e il potere dello stato deve ancora intervenire per abilitare l’uso della forza lavoro.
Marx spiega come questa scissione si consumi attraverso una seconda separazione che i soggetti patiscono: quella dal sapere necessario per realizzare il lavoro. Il che si verifica attraverso l’applicazione delle teorie scientifiche, che fanno sì che la sussunzione avvenga in modo reale in quanto il lavoro viene realizzato attraverso l’azione di un sapere del quale i soggetti non hanno coscienza, un sapere delle teorie scientifiche al servizio del capitale, con l’avvento dell’industria e della produzione di plusvalore relativo grazie all’applicazione dei mezzi di produzione che risultano dall’applicazione delle teorie.
In seguito alla attuazione reale della sussunzione, la forza lavoro può essere utilizzata solo sotto il dominio del capitale. Così il capitale consegue un potere scisso dal potere sovrano dello stato, un potere non sovrano ma di classe, che permette di abilitare “economicamente” l’uso della forza lavoro attraverso la sua vendita come merce, sulla base di un contratto firmato volontariamente dai liberi soggetti (considerati da Marx come condizione storica perché la forza lavoro sia una merce), poiché questa vendita costituisce l’unica possibilità di vivere. Dal canto suo, il potere dello stato, per mantenersi esterno alla questione del lavoro, deve apparire come intesa razionale volta ad abilitare “politicamente” la libertà (ossia: per realizzare la liberazione, necessaria perché i soggetti possano vendere la forza lavoro) attraverso la legge approvata dal contratto sociale (o “precontratto”) che costituisce lo stato.
Ciò che Marx sottolinea nel Capitale ‒ e che di solito si trascura ‒ è il peso determinante delle teorie scientifiche nella costituzione del modo capitalista di sfruttamento rendendo possibile la sussunzione reale del lavoro nel capitale e, di conseguenza, il potere di classe del capitale scisso dal potere statale.
Certamente Marx si trova in un orizzonte teorico non adatto a seguire questa traccia e si limita a considerare la scienza come un prodotto in generale dello sviluppo sociale. Però da allora l’orizzonte teorico è cambiato a sufficienza per superare lo scientismo asfissiante che blocca il cammino e per procedere alla considerazione che il livello scientifico delle teorie è tra quelli – insieme al livello economico del capitale, al livello ideologico del soggetto libero e al livello politico dello stato razionale – che si strutturano vicendevolmente costituendo il modo capitalista dello sfruttamento.
In questo senso, non è casuale che uno dei pochi ad aver mantenuto le distanze dallo scientismo sia stato un freudiano come Lacan. In apertura del seminario intitolato L’oggetto della psicoanalisi (che è del 1965-66), egli considera la scienza come l’ambito principale dell’azione umana prevalente nel tempo attuale, uno in più tra i vari che sono esistiti, e ritiene che il soggetto su cui opera la psicoanalisi sia esclusivamente il soggetto correlato alla scienza moderna che sorge nel XVII° secolo. Ciò significa che il soggetto moderno, del quale Juan Carlos Rodríguez ha indicato la nascita ideologica come soggetto libero nelle prime formazioni borghesi rendendo possibile la vendita della forza lavoro, si sviluppa per mezzo di un dispiegamento psichico di pulsioni legato alla scienza moderna.
Il concetto di “pulsione” si presta a molti fraintendimenti in psicoanalisi pari a quelli del termine “sfruttamento” nel marxismo, fino al punto da confondersi con la nozione di “istinto”. Le pulsioni e gli istinti hanno in comune il fatto che entrambi costituiscono destrezze attive, ma mentre le destrezze che provengono dagli istinti sono naturali e rispondono in maniera fissa all’ambiente circostante, quelle provenienti dalle pulsioni si realizzano attraverso l’uso pratico e rispondono in maniera mutevole. Perciò chiamiamo queste ultime “destrezze pratiche”.
Senza dubbio i fraintendimenti sono legati al fatto che, tanto la “pulsione” quanto lo “sfruttamento” sono concetti di discordanze. Lo sfruttamento produce una eccedenza, le pulsioni applicano una mancanza. L’eccedenza che produce lo sfruttamento è lavoro non necessario per la produzione della forza lavoro utilizzata per realizzarlo, è lavoro aggiuntivo della forza lavoro o pluslavoro; la mancanza che le pulsioni applicano sono pratiche che non si rendono possibili con l’applicazione delle destrezze di pratiche messe in atto per utilizzarle, sono pratiche che sfuggono alle destrezze di pratiche o potremmo dire sono “pre-pratiche”. Lo sfruttamento produce pluslavoro, le pulsioni applicano pre-pratiche.
Quindi, i fraintendimenti sono relativi al fatto che le pratiche non servono come mezzi della “cultura” ma come mezzi dei dispiegamenti psichici delle pulsioni e allo stesso modo il lavoro non esiste come risultato della “natura umana” ma come risultato di modi storici di sfruttamento; i fraintendimenti sono legati alla opposizione “natura/cultura” che è l’orizzonte entro cui si muove il pensiero egemonico al giorno d’oggi, che rompe ciascuno di questi poli attraverso i concetti di “sfruttamento” e “pulsione” e così lascia il campo al legame tra lo storico e lo psichico: il lavoro non appare naturalmente ma storicamente in quanto le pratiche non intervengono culturalmente, ma psichicamente.
In quanto le pratiche utilizzate per costituire ciascuna forma storica di stato (impero, feudo, stato razionale) si attivano psichicamente attraverso un determinato sviluppo delle pulsioni che realizzano destrezze pratiche, allo stesso modo in cui il lavoro realizzato dall’azione di ogni manifestazione psichica di soggetti (schiavi, servi, soggetti liberi) si configura storicamente in relazione a un determinato modo di sfruttamento che utilizza la forza lavoro, funzionando ciascun dispiegamento di pulsioni a compimento di un modo affine di sfruttamento e, in particolare, nel dispiegamento teorico delle pulsioni nel modo dello sfruttamento capitalista.
E proprio come il capitale costituisce la forma di sfruttamento che produce pluslavoro come plusvalore (come valorizzazione del denaro) poiché la forza lavoro diventa merce, le teorie innescano il dispiegamento delle pulsioni che applicano pre-pratiche come “pre-oggetti” (come oggettivazioni di idee) affinché le destrezze pratiche funzionino come materia (ossia come realtà originata dall’uso del linguaggio, e da qui Lacan si imbatte nell’inconscio – del soggetto correlato alla scienza! – strutturato come un linguaggio), funzionamento come materia che ha come conseguenza lo sviluppo specifico dell’uso di pratiche – quello teorico – che si attiva psichicamente in vista del “sostegno delle pratiche nelle teorie”.
Per mezzo del dispiegamento teorico delle pulsioni può funzionare psichicamente la scissione tra lo stato che utilizza le pratiche e la ripercussione del loro utilizzo; in primo luogo, la separazione dello stato dalla concettualizzazione dei risultati delle applicazioni. In vista della concettualizzazione dei risultati da parte della teoria, le pratiche possono utilizzarsi secondo il filtro della teoria, sostenute dalla teoria, ma allora vengono usate in uno sviluppo contemplativo in modo che possano essere utilizzate per costituire il potere dello stato nel garantire l’uso della forza lavoro. Questo sostegno contemplativo delle pratiche da parte della teoria funziona nel compimento della sussunzione formale del lavoro nel capitale.
E in secondo luogo, cementando la scissione, la separazione dello stato dal potere possibile per utilizzare le pratiche; il che opera in vista della produzione specificamente capitalista, che precisa uno sviluppo utile del sostegno col quale le pratiche possano utilizzarsi non per costituire il potere sovrano dello stato, ma un potere non sovrano, il potere di classe del capitale alimentato dalle teorie.
Affinché di questo sostegno funzioni utilmente, le destrezze pratiche devono essere realizzate unicamente nell’ottica delle teorie. Per questo deriva dalle teorie un sapere scisso dal sapere cosciente dei soggetti, un sapere inconscio, d’Altro, che domanda di soddisfare “scientificamente” la realizzazione delle destrezze di pratiche per la loro sintesi come materia, cercando il godimento per l’intendimento che costituisce lo stato razionale in modo che questa sintesi azioni l’unico bisogno che serve. Dal canto suo, il sapere cosciente dei soggetti, dovuto alla sua separazione dalle pratiche, può intervenire come volontà libera per mezzo della soddisfazione “ideologica” della razionalità (ossia: per mezzo dell’uso della ragione, possibile perché lo stato deve utilizzare la sintesi delle destrezze pratiche) in vista del desiderio che insegue il plus-godere che lo aziona. Il sostegno utile delle pratiche nelle teorie funziona psichicamente nel compimento storico della sussunzione reale del lavoro nel capitale che è cominciata nella industrializzazione e continua oggi con la digitalizzazione, con un intervento ogni volta antecedente del sapere d’Altro delle teorie per una disposizione ogni volta maggiore del potere di classe del capitale.