09 Giu Parenti-Serpenti
di Roberto Gramiccia
“Non è la coscienza che determina la vita ma la vita che determina la coscienza” è la frase fulminante di Karl Marx che, tanto per esagerare un po’, divide in due la storia dell’umanità, con conseguenze che saranno incalcolabili per le sue vicende a seguire. Sul fatto che le cose stiano così non ho mai avuto dubbi, sin da quando ho potuto disporre degli strumenti per capirlo. C’è da dire, però, che persino gli assiomi vanno capiti nel profondo. Lo dico perché, se questa sostanziale verità fosse presa alla lettera, la cattiveria dovrebbe essere considerata solo e soltanto come la conseguenza di ragioni storicamente determinate. Della serie: se uno è cattivo non è colpa sua. Casomai è colpa di una cattiva educazione, di maltrattamenti ricevuti, di condizioni di vita sfavorevoli che hanno, reattivamente, modellato caratteri che rispondono alle sfortune della vita sviluppando e consolidando una dose maggiore o minore di cattiveria.
Se così fosse, se fosse così “letteralmente”, questo numero di Malacoda non avrebbe ragione di essere. O meglio al tema prescelto – quello della “Cattiveria” – sarebbe stata preferibile la disamina delle ragioni “sociali” che la producono. Bene, io non penso che le cose stiano così. E in questo mi conforta la conoscenza dei rudimenti di una scienza fondamentale che si chiama genetica. Per non farla troppo lunga, personalmente sono convinto che i cattivi esistano e che la cattiveria abbia per così dire una sua autonomia ontologica. Naturalmente la cosa non esclude (tutt’altro!) che le esperienze della vita possano esercitare un ruolo modulante sulla forza e le forme che la cattiveria assume, senza tuttavia assolvere coloro i quali sono portatori di questo non raccomandabile requisito.
Esaurita questa indispensabile premessa che si può riassumere semplicemente con il dire che “i cattivi esistono eccome”, mi corre l’obbligo di precisare di quale tipologia di cattiveria mi occuperò. Vi confesso che, passando in rassegna le multiformi espressioni di questo turpe sentimento mi sono acconciato a selezionare le più perfide, con l’unica esclusione di quelle posture psicologiche di interesse criminologico, che attengono cioè a una patomorfosi che ha a che vedere con il codice penale oltre che con la morale comune. No. I cattivi di cui parlerò, dimostrandosi tali, non commettono alcun reato. Per lo meno entro certi limiti.
Rullo di tamburi: è venuto il momento di svelare l’arcano. Ebbene, mi occuperò di quella cattiveria che si addensa sulla vita e sui destini di una delle categorie di uomini e di donne che sono portatori o portatrici di una fragilità per così dire intrinseca. Parlo dei vecchi. Anche se va detto in premessa, e ad alta voce, che la vecchiaia non è sinonimo di malattia. “Senectus ipsa est morbus”? Aveva ragione Terenzio? Da geriatra, devo dire di no. Per lo meno non ce l’aveva in senso assoluto. E’ comune, infatti, l’esperienza che dimostra la possibilità che persone di età anche molto avanzata possano condurre una vita non solo normale ma addirittura soddisfacente e produttiva. Rimane il fatto che, statisticamente, le persone anziane sono più fragili rispetto a quelle appartenenti ad altre fasce di età, e la carneficina prodotta dalla recente e non risolta pandemia ce ne fornisce una prova della quale non avevamo di sicuro bisogno.
Dato per scontato questo assunto e precisato che, nella gran parte dei casi, parliamo di cittadini incensurati che hanno assolto e ancora assolvono i propri doveri fiscali dopo una lunga vita di lavoro, ci si dovrebbe aspettare che, a fronte di una loro riconosciuta superiore fragilità, debbano essere oggetto di maggiori attenzioni (protezioni) da parte della società. Ebbene, sono talmente convinto che nella pratica avvenga il contrario che, alcuni anni fa, ho scritto un libro La strage degli innocenti. Terza età: anatomia di un omicidio sociale (Ediesse) che, sin dal titolo, mi pare proprio non lasci molti dubbi su come, sulla scorta di una pluridecennale esperienza, veda e giudichi quelle articolazioni del nostro Sistema socio-sanitario che si occupano di assistenza agli anziani. Si tratta di un saggio-inchiesta a più voci – scritto con l’aiuto di un giornalista, Vittorio Bonanni – al quale rinvio chi abbia voglia e coraggio di conoscere da vicino l’insieme delle malefatte che rendono possibile l’internamento di diverse centinaia di migliaia di persone.
All’inizio le RSA, che sono le strutture, in genere private accreditate, che rispondono a questo scopo, furono concepite come residenze aperte e confortevoli, pensate per pazienti più spesso affetti da un’invalidità parziale, compatibile con la conservazione di un certo grado di autonomia funzionale residua. Ebbene, con il passare del tempo queste strutture si sono trasformate in ospedali veri e propri, finanziati però con fondi enormemente inferiori rispetto agli ospedali canonici. Questa azione di supplenza dell’ospedale tradizionale è stata in gran parte determinata dal progressivo taglio dei posti letto ospedalieri e dalla spaventosa carenza di posti letto di lungodegenza ospedaliera post-acuzie.
Le piante organiche, inizialmente concepite per una popolazione di ospiti con caratteristiche diverse, sono diventate assolutamente insufficienti per malati divenuti nel tempo molto più impegnativi e clinicamente instabili. È così che, nel corso degli anni, questa tipologia di assistenza ha praticamente surclassato l’ipotesi di risposta assistenziale di gran lunga più razionale, evoluta ed efficace: vale a dire quella dell’Assistenza domiciliare sanitaria e socio-sanitaria. Quanto questa soluzione sia stata strangolata nella culla per ragioni economico-speculative che hanno a che vedere con i colossali interessi della sanità privata, accreditata e non, non è solo intuitivo: è scandalosamente evidente. Questo è il quadro generale, richiamato con la velocità di un corridore di formula uno. Ma, giunti a questo punto, mi chiederete: ma la cattiveria che c’entra?A parte il fatto che produrre soluzioni assistenziali palesemente e “ab origine” inadeguate da parte di governi di varia composizione è, in sé, la testimonianza palmare di una “cattiva” politica. A parte il fatto che destinare soldi agli armamenti piuttosto che al finanziamento della sanità ha impedito, fra l’altro, quell’adeguamento delle tariffe che avrebbe potuto permettere una riformulazione e un adeguamento delle piante organiche previste nelle RSA, che costringono gli operatori sanitari a un lavoro massacrante, e, inevitabilmente, condannato a poter garantire soltanto una mediocre, quando non scadente o scadentissima, qualità assistenziale. Non è forse una cattiveria, oltre che una clamorosa stupidità, non finanziare adeguatamente settings assistenziali dai quali dipende la vita (e la morte) di centinaia di migliaia di cittadini italiani? Senza considerare la cosa più grave: aver smantellato la sanità territoriale e impedito alle cure domiciliari di intervenire in quei casi in cui il ricovero in RSA o in case di cura private potrebbe essere evitato.