22 Set Io c’ero. Dal luglio ’60 al crollo del Muro: i comunisti romani si raccontano
Pino Santarelli dichiara, in apertura del suo ultimo libro Io c’ero (Bordeaux, 2023) di soffrire di una patologia dello sguardo, una presbiopia che lo induce a veder meglio ciò che gli è lontano, quanto risulta ormai collocato in un passato storico, sentito come prossimo perché attraversato, fatto proprio. Così, quello che questo massiccio eppur agile volume racconta è, in fondo, una storia di formazione, il proseguimento ideale e “misurato” – perché mediato dall’azione collettiva – del precedente Rosso è il cammino. Un’autobiografia militante (Bordeaux, 2019) in cui l’esperienza personale era insieme filtro e documento, osservatorio e diario intimo. Qui, attraverso interviste e testimonianze, l’autore circoscrive il suo oggetto al vissuto esistenziale e politico di più di venti membri del gruppo dirigente della federazione giovanile romana del Pci e lo fa narrandone le origini – al tempo pubbliche e private – il “battesimo” politico nel vivo degli scontri di Porta San Paolo (1960), le vicende nei collettivi, nelle aule del Sessantotto e poi il rapporto con le fabbriche, la militanza segnata da cortocircuiti emotivi come i carrarmati in Ungheria e Cecoslovacchia, la cacciata di Lama, l’avvento delle Brigate Rosse, il crollo del Muro fino alla svolta della Bolognina.
Lo schema, che ricorda i questionari della ricerca sociale, presenta alcune domande ritornanti pur lasciando spazio alle riflessioni, ai ricordi che legano intervistatore e intervistato che spesso intrecciano esperienze comuni, valutazioni prossime o contrastanti sempre nel desiderio – dichiarato in apertura – di costruire una sorta di genealogia, la storia collettiva di una generazione di militanti. Ne emerge un quadro prismatico, di mille sfumature cangianti, a sottolineare non tanto la dispersione delle energie e delle storie – critica ingenerosa spesso mossa alla sinistra – quanto la molteplicità di percorsi, le moltitudini contenute in ciascun vissuto, in ciascun racconto.
In tale prospettiva, quella che l’autore fotografa, in fondo, è anche un’epopea familiare. Non solo perché i protagonisti appartengono più o meno alla stessa generazione, hanno vissuto le stesse tappe storico-simboliche e si sono riconosciuti in un’ideologia di appartenenza, ma perché – sullo sfondo di una città come Roma che rende possibile il ‘misto’, per usare un’immagine pasoliniana – si sono incontrati e scontrati, hanno intrecciato le proprie esperienze personali e politiche, si sono (ri)trovati a distanza di anni e, in queste interviste fiume, hanno narrato sé stessi e gli altri, l’anima di un Partito che, nella sua Federazione giovanile, aveva mille anime, tante cose da raccontare. Come in ciascuna famiglia, unita e felice a modo suo.
Santarelli, nel riallacciare i fili di questo percorso, assume allora lo sguardo del testimone, fa suo un tono chiaro e misurato che, nell’ambito della storia orale, sappiamo esser proprio dei racconti credibili, di chi – pur con occhio interno – necessita di una tecnica distanziante, di un discorso dal margine. Nell’incalzare i compagni, Pino racconta di sé senza alzare la voce, senza rendere la sua esperienza il nerbo di un’argomentazione che si arricchisce via via, tassello dopo tassello, come in un puzzle di esperienze uniche quali quelle incarnate dalla Fgci romana degli anni Sessanta e Settanta. Si tratta, a ben vedere, del quadro più onesto di un’esperienza straordinaria come quelle che, a volte, solo a Roma sembrano accadere: inquiete, disorganiche, in fondo mai incasellabili. Oggi, la geografia politico-sociale della città è mutata, alcuni quartieri hanno mutato pelle, stretti tra la gentrificazione e l’abbandono di riferimenti, di luoghi di incontro e socialità. Ma la storia del Pci, il suo lessico e la sua sintassi, sono una miniera a cui attingere per recuperare immagini ed esperienze, per parlare di nuovo alle generazioni più giovani, quelle che – e Santarelli ne è convinto – «tenteranno di nuovo l’assalto al cielo», perché la Storia non finisce e la memoria è un campo elastico: si mantiene rinnovandosi.