Il berlusconismo, il populismo e la telecrazia 

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di Pietro Folena

La scomparsa di Silvio Berlusconi sta diventando l’occasione per una riflessione, o persino un bilancio, sull’Italia dell’ultimo trentennio. Il cordoglio per la morte di un protagonista della scena italiana, a cui ha guardato, talvolta con fiducia cieca, una metà del Paese, è stato giustamente generale. Ma per chi ha combattuto le sue idee e la sua azione politica (e si è anche indignato per i metodi spregiudicati della sua azione imprenditoriale, con relazioni molto pericolose e condizionanti, dalla loggia P2 di Licio Gelli ad ambienti prossimi alla mafia), e lo ha fatto sempre con gli strumenti della democrazia e della lotta culturale, questo è il momento di riconoscere che è stato un avversario pugnace.

E, tuttavia, il coro generale di santificazione di Berlusconi, ora che non è più di questo mondo, e culminato con la proclamazione imbarazzante del lutto nazionale, mi sembra decisamente stonato. Ammetto, con sincerità, che guardando all’azione e all’opera di chi oggi ha preso in mano il destra-centro, forse, di Silvio, si sentirà la mancanza. 

Qui, però, c’è il primo punto da toccare se si vuole fare un bilancio onesto: un’impresa politica iniziata legittimando l’ex-Movimento Sociale Italiano, accanto al partito separatista del Nord, e inventando la strana creatura del centrodestra, si conclude con un destra-centro a guida dei nostalgici e simpatizzanti di quel ventennio antidemocratico e con la ruota di scorta di Forza Italia, ormai forza minoritaria se non in disgregazione.

Berlusconi ha usato il consenso dei post-fascisti per rafforzare la sua posizione, ma alla fine della corsa ne è stato travolto. Non mi sembra un capolavoro politico, se non per Matteo Salvini prima (che ha giocato in modo infantile per un periodo al radicalismo di destra) e poi per Giorgia Meloni. Partito con la rivoluzione liberal-liberista, questo schieramento ha assunto una connotazione sovranista e nazionalistica con tratti di intolleranza preoccupante.

È stato giustamente detto che Berlusconi ha cambiato l’Italia. È assolutamente vero. Ma c’è da chiedersi come l’ha cambiata. Dopo la prima Lega di Umberto Bossi, la rapida scalata al potere del 1994 ha introdotto, nel corpo della democrazia italiana, potentemente il populismo mediatico, una sorta di telecrazia guidata dal proprietario delle reti, incredibile incrocio tra peronismo sudamericano e produzione di ideologia attraverso lo spregiudicato uso delle tv commerciali. Il berlusconismo è stata una forma originale e irripetibile di populismo italiano. Qui, dal suo punto di vista, Berlusconi ha fatto un capolavoro: rompe l’unità antifascista costituzionale ed erige, quando il comunismo sovietico si è dissolto, un muro ideologico anticomunista come cemento della propria azione. Lo spauracchio per i comunisti, che non c’erano, prodotto dal berlusconismo ha eccitato tutti i sentimenti profondi della pancia italiana: il rifiuto generale per le tasse, l’opposizione alle attività amministrative necessarie, il disprezzo dello Stato e del Pubblico, la contrapposizione ai movimenti collettivi per il lavoro, e potrei continuare, lasciando il lavoro sporco contro i migranti alle nuove destre. Ma è proprio qui, in questo muro eretto da Berlusconi, una delle ragioni dei problemi dell’Italia. Il centrodestra di allora non è stato liberale, ma populista, e ha generato dei figli che non è più riuscito a controllare. L’Italia – come due anni fa ho provato a documentare nel mio “Servirsi del Popolo” (La Nave di Teseo, 2020) – è diventato, dati alla mano, il paese più populista, più instabile, più emotivo di tutta Europa. In qualche modo Berlusconi ha anticipato, e in alcuni casi aperto, la strada ad altri protagonisti dei nuovi populismi in diverse parti del globo.

L’effetto di questo cambiamento radicale ha sorprendentemente travolto anche la Sinistra. Dopo una breve stagione di radicalismo azionista e di giustizialismo, che ha regalato consensi al centrodestra, il grosso della Sinistra ha fatto sua l’idea berlusconiana di politica: fine del finanziamento pubblico della politica; estrema personalizzazione della leadership; spregiudicata relazione tra impresa e potere e fra potere e affari; e potrei continuare. La questione morale sollevata da Enrico Berlinguer è diventata un pallido ricordo. La Sinistra si è concepita come macchina per gestire il potere, rinunciando al suo valore più grande: la partecipazione e un’idea generosa e altruista dell’azione collettiva.

È per queste ragioni che, scomparso Berlusconi, ora occorre fare i conti col berlusconismo, anche a Sinistra, e liberarsene. Gli effetti di regressione culturale generale alimentati dal modello della TV commerciale – altro che egemonia della sinistra – sono palesi, ma il web fortunatamente è uno strumento straordinario per condividere una nuova idea di cultura. Oggi la destra-centro, al Governo, e la sua anima post-fascista che non ha rotto col passato vuole, con la TV pubblica, fare un’operazione pericolosa di ricostruzione storica della propria credibilità. 

Occorre lavorare, quindi, per un’alternativa culturale, per una riforma morale e intellettuale della società italiana, come ci diceva Mario Quattrucci, e come, d’altronde, si propone di fare Malacoda.


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