09 Giu Cattiveria al Governo
di Aldo Pirone
Il governo di destra della Meloni può essere ascritto sotto varie costellazioni. Quella più appropriata sembra essere quella della “cattiveria”. Cattiveria contro i poveri con la riduzione drastica del reddito di cittadinanza; cattiveria contro i lavoratori a basso e medio reddito percossi dall’inflazione, dall’aumento delle bollette e dal precariato endemico; cattiveria contro chi paga le tasse con i 12 condoni a go go effettuati nella Finanziaria per quelli che non le pagano; cattiveria contro le Ong che salvano naufraghi mentre Giorgia e Matteo fanno karaoke dopo la strage di Cutro; cattiveria contro i bambini nati nell’ambito di unioni omosessuali, cui è vietato registrarsi all’Anagrafe, fare i vaccini, curarsi nel Ssn o avere un codice fiscale; cattiveria contro la Costituzione minacciata dal Presidenzialismo meloniano e dalla disarticolazione dell’unità nazionale – la chiamano autonomia differenziata – salviniana.
Una cattiveria di governo urbi et orbi.
I post fascisti ce l’hanno con l’Italia e con gli italiani. Serbano un rancore sordo trasmesso da una generazione all’altra, da quando sotto i colpi di una guerra catastrofica non voluta, la Nazione si rivoltò contro il suo “duce”, Benito Mussolini, contro il regime fascista e il suo prolungamento sanguinario al servizio dell’occupante nazista. Da allora hanno aspettato a lungo la rivincita e covato la vendetta.
Hanno attraversato il deserto cercando di tenere botta al grido di “non rinnegare non restaurare” inventato nel ’48 da De Marsanich al primo Congresso del Msi erede diretto della Rsi e adottato da Almirante in seguito. Simpatizzando, però, sempre con chi cospirava contro la democrazia in Italia, tipo Junio Valerio Borghese, e facendo il tifo per i colonnelli in Grecia, per Franco in Spagna, per Salazar in Portogallo, per Pinochet in Cile. Hanno dovuto aspettare che il mondo cambiasse radicalmente, che il comunismo cadesse, che l’antifascismo deperisse, che la generazione che li subì e li combatté sparisse, che ai suoi nipoti nessuno raccontasse più le infamie torve e sanguinose del fascismo, che la sinistra progressista si ritirasse nei salotti dei centri storici urbani delimitati dalla Ztl egemonizzata e imbambolata dai bagliori del neoliberismo.
Hanno dovuto aspettare quasi ottanta anni, cercando, nel rush finale delle elezioni dello scorso settembre, di mimetizzarsi il più possibile, rendendo omaggio agli ebrei ma non ai partigiani della Resistenza, dicendo di accettare ipocritamente la Costituzione antifascista nel momento stesso in cui si riaccingono – l’hanno già fatto nel 2005 con Berlusconi – a demolirla con il Presidenzialismo e l’autonomia differenziata.
Alla fine, con la benevolenza di una parte dell’establishment di lorsignori cui interessava solo che la Meloni non intaccasse i “conti pubblici”, cioè le loro tasche, e grazie alla stupidità del Pd di Letta e compagnia ma anche a quella “furba” di Conte e del M5s per non dire di quella dei due gaglioffi Calenda e Renzi, ce l’hanno fatta.
Ora gli italiani, anche quelli che hanno visto nella Meloni una novità che bisognava provare, sono serviti. Come furono serviti con Berlusconi e Salvini. Cominciano a vedere e a sentire qual è la sostanza sociale e culturale della destra post fascista: la cattiveria.
Bastava guardarli in faccia per saperlo in anticipo.