Fragili come una rosa

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di Giorgio Moio

Un proverbio turco recita che l’uomo è più duro del ferro, più solido della roccia, ma più fragile di una rosa. Partendo da questa massima, si può certificare che l’uomo è irrimediabilmente fragile, e non solo perché è destinato comunque a lasciare, a un certo punto della sua esistenza, questa vita terrena, ma perché dal momento che desideriamo controllare ogni cosa la vita ci presenta il conto, un conto salato: ci mette di fronte alle nostre fragilità.

Insomma, ci mette di fronte «all’ineluttabilità della legge di natura», ci dice Umberto Galimberti in La casa di psiche (Feltrinelli, 2009), alla nostra caducità, certificando tutte le nostre debolezze, tutte le fragilità – appunto – della natura umana.

Per la filosofa statunitense Martha C. Nussbaum, la fragilità non è solo fisica ed è basata su un paradosso, nel senso che nel mentre prendiamo coscienza della nostra debole e caduca condizione umana, per contro siamo disposti a fidarci degli altri. «Essere umani – sostiene Nussbaum – significa accettare le promesse degli altri e avere fiducia che le altre persone saranno buone con te. Quando questo è troppo da sopportare, è sempre possibile rifugiarsi nel pensiero: “Vivrò per conto mio, per la mia vendetta, per la mia rabbia, e semplicemente non sarò più un membro della società”. Ciò significa: “Non sarò più un essere umano”» (in La fragilità del bene. Fortuna ed etica nella tragedia e nella filosofia greca, Il Mulino, 1996).

D’accordo, bisogna pure aver fiducia nelle persone, con la convinzione che esse saranno buone con te, affinché si possa essere un membro della società. Ma ce lo spiegherà la nostra filosofa perché nella nostra società un giovane viene assunto (quando ha la fortuna di essere assunto), nella maggior parte dei casi part-time, cioè massimo al 60%, o in casi peggiori pagati con i vergognosi voucher? E non mi venite a dire che è solo una questione riguardante il sud. Ci spiegherà pure come i giovani possono avere fiducia in un sistema governativo che, privatizzando molte aziende di proprietà dello Stato, ha creato una società più fragile in quanto molte di esse non funzionano e servono solo ad arricchire i loro proprietari, alimentando una precarietà all’interno del mondo del lavoro dove le vittime predestinate sono soprattutto i giovani, i quali avrebbero bisogno di essere introdotti nel mondo del lavoro con più aiuti, a cominciare da un apprendistato che ormai non esiste più. E ce lo spiega sempre la filosofa di cui sopra, in questa società un uomo fragile è considerato un menomato mentre una ministra che evade le tasse un’eroina con le palle?

La fragilità di una società senza valori e senza reali prospettive dove tutto è considerato mercanzia, persino l’uomo, allignata in ogni settore (e non è più legata soltanto ad una questione ancestrale, filosofica), è una colpa da addebitare al trentennale berlusconismo che abbiamo subito e ancora subiamo (con l’aggravante di una politica di destra, conservatrice e inaffidabile), con la complicità di un elettorato “distratto” che ritiene più conveniente farsi “prendere in giro” con false promesse e qualche contentino (della serie “festa farina e forca”), magari voltando la faccia dall’altra parte. E chi sostiene il contrario, vada a dire ai giovani che hanno rosee prospettive, che è di una facilità estrema trovare lavoro o mettere su famiglia o comprarsi una casa.

Dunque, come si misura la fragilità in una società capitalista e opulenta? Si misura quando un giovane con una istruzione per lavorare e non essere sfruttato con paghe da miseria è costretto a recarsi all’estero o vivere con i genitori a tempo indeterminato. Si misura con la consapevolezza di essere inermi di fronte a delle aberrazioni che incontriamo giorno per giorno, ormai scevre da ogni valore umano, anche da quello più banale: come si fa a salutare una persona e poi ucciderla come se la vita non contasse più niente! È cronaca di queste settimane, riportata dal quotidiano napoletano “Il Mattino”: Frederick attirato con l’inganno e ucciso. La banalità del male ormai ci tiene prigionieri. Si misura anche dal fatto che oggi ci si dichiara fascisti orgogliosamente in pubblico, e quasi parte un sorriso da chi ascolta, mentre se ti dichiari comunista ti deridono o si girano dall’altra parte. La fragilità è di casa nell’odierna umanità perché c’è chi ha pensato di alleviarla sostituendola con l’intelligenza artificiale, con un logaritmo, in pratica. C’è poco da fare! Penso a quel 54% della popolazione che non usa o usa male il web, ma proprio nel web c’è una cosa che deciderà per la sua esistenza. Pare che tutto sia destinato ad essere sostituito dall’intelligenza artificiale, tranne forse la politica degli intrallazzi: quella in matematica ne sa una più del diavolo! 

E poi c’è la poesia, già fragile di suo, che non se la fila quasi più nessuno, e come tutta la letteratura è diventata una merce di scambio dove chi ha i soldi detta le sue sorti. 

Che vita grama attende un poeta, in particolare se è antagonista all’establishment, al mainstream, come il sottoscritto. Intanto incomincio col dire che scrivo quel che penso perché non ho favori da restituire. Mi piace rischiare, non mi piacciono le certezze, la tranquillità, sono sintomi di morte, creativamente parlando. Forse sono nato per rompere gli schemi, ma destinato al fallimento che, al contrario della tranquillità è rinascita. Sono fragile ma controcorrente; controcorrente vedi cose che gli altri, presi dalla voglia di arrivismo, non vedono o non vogliono vedere. La poesia, seppur fragile, deve essere una esplosione di sentimenti, che si fa leggere e si fa vedere in tutte le possibili combinazioni, nonostante la sua fragilità. E come in una partita di pallone, deve giocare in attacco. La poesia deve essere una variante libera di allofoni per una diversa combinazione di fonemi, se vuole uscire dal letargo tradizionale e ripetitivo, creare suoni e ritmi diversi dai termini costituiti e arcisunti, diceva qualche poeta, ogni qualvolta ci si rende conto che le parole si aggrovigliano su se stesse. Un poeta che non gioca almeno una volta con le parole è un poeta a metà, anche se alla fine vincono sempre loro, le parole, nonostante siano consapevolmente fragili. Ho sempre giocato con le parole anagrammandole verso il nonsenso, sezionandole, cesellandole, ma sono rimasto comunque un poeta a metà, fragile come cristallo.

Comunque – tornando alla fragilità –, siamo riusciti a produrre una generazione “Xanax”. Secondo lo psichiatra Eugenio Borgna, «nella fragilità si nascondono valori di sensibilità e di delicatezza, di gentilezza estenuata e di dignità, di intuizione dell’indicibile e dell’invisibile che sono nella vita, e che consentono di immedesimarci con più facilità e con più passione negli stati d’animo e nelle emozioni, nei modi di essere esistenziali, degli altri da noi» (La fragilità che è in noi, Einaudi, 2014). Zygmunt Bauman, in Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi (Editori Laterza, 2003), affonda ancora di più la lama nella piaga: «Incertezza del futuro, fragilità della propria condizione sociale e insicurezza esistenziale [sono] onnipresenti compagne di vita in un mondo liquido-moderno»).

Per il futurista Marinetti la fragilità non è contemplata, non esiste – come d’altronde per tutti i futuristi –; anzi, essa appartiene alla letteratura del passato e va rigettata in toto. Forse, se Marinetti vivesse oggi, probabilmente il suo pensiero sarebbe alquanto diverso. Chi ha ragione? Bauman o Marinetti? Resta il fatto che il genere umano si sta estinguendo, o meglio, la condizione umana; un po’ tutti pensavamo che dopo la pandemia da Covid saremmo stati tutti più buoni con noi stessi e soprattutto con gli altri; invece le cose vanno sempre peggio. E proprio per la fragilità della condizione sociale e dell’insicurezza esistenziale (per colpa anche di una classe politica assente su certi argomenti) che assistiamo – per es. – a fatti a dir poco riprovevoli, come quello dello studente di Rovigo che spara ad una professoressa con una pistola ad aria compressa, mentre un suo compagno riprende la scena e la diffonde sui social, i quali invece di essere puniti con un voto basso in condotta, vengono addirittura promossi con un 9 in condotta che «viene attribuito – come riportato in “Studenti.it” – agli studenti che sono generalmente corretti nei confronti di insegnanti, compagni e personale della scuola». Generalmente corretti? E «cosa avrebbero dovuto farle – s’indigna, giustamente, Massimo Gramellini sulle pagine del “Corriere della Sera” (23 giugno 2023) – per meritarsi non dico un 7, ma almeno 8? Appenderla al lampadario per le orecchie, oppure finirla direttamente in cortile con un colpo alla nuca?».

Ecco l’altro fattore che alimenta la fragilità di chi è chiamato a far rispettare la civile convivenza: il buonismo. Tornando ai fatti di Rovigo, pare che la commissione abbia deciso per il 9 in condotta, anziché di un 8 o un 7, per non rovinare la media ai due ragazzi. Un po’ come avviene all’interno del nostro governo che ha pensato di fare un decreto legge per abolire l’abuso d’ufficio, alla faccia delle regole e dell’onestà. L’abuso di ufficio rientra fra i reati contro la pubblica amministrazione, è bene ribadirlo, come recita l’articolo 323 c.p.: «Salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che, nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, ovvero omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto è punito con la reclusione da uno a quattro anni. La pena è aumentata nei casi in cui il vantaggio o il danno hanno un carattere di rilevante gravità».

Di questo passo, che fine faremo se la maggioranza parlamentare si scaglia contro coloro che hanno tentato di difenderci dall’escalation del virus e protegge una ministra evasore? Come sarà la nostra vita in futuro? Quale politica ci darà una mano a renderci meno fragili, a riconsiderare le disuguaglianze sociali come un cancro da estirpare? Quale politica economica salverà i nostri figli dallo “Xanax”?

In conclusione mi piace riportare un passo della scrittrice inglese Jeanette Winterson, tratto da un suo recente volume, 12 Bytes. Come siamo arrivati fin qui, dove potremmo finire in futuro (Mondadori, 2023): «Se saremo ancora violenti, avidi, intolleranti, razzisti, sessisti, patriarcali, e, per lo più, abbietti, a cosa ci servirà poter aprire il garage con un dito e correre più veloce di un ghepardo?».

Come si fa a non essere d’accordo con questo pensiero della Winterson?  


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