09 Giu 4 Consigli alla Sinistra
di Simone Oggionni
Scrivere della «cattiveria» nella politica, anche in quella italiana, sarebbe semplicissimo. La politica non è altro che lo specchio dei rapporti umani. Anzi: di rapporti umani che mutano in relazione alla storia. La storia dell’uomo è intrisa di cattiveria. Si potrebbe persino scrivere la storia politica italiana dell’ultimo secolo dal punto di vista del tasso di cattiveria esercitato dalle classi dirigenti. Anche escludendo dal riepilogo — per vette insuperabili di crudeltà — il ventennio fascista, la lista di politiche anti-popolari che hanno attraversato la nostra storia è davvero lunga. Sino a questi ultimi anni, alla riemersione di una destra feroce, che appare cinica e insensibile alle ragioni degli ultimi. Come definire altrimenti la linea di fermezza nei confronti dei migranti? O le parole del ministro dell’Istruzione sulla umiliazione come «fattore di crescita per i ragazzi»? O, ancora, la guerra combattuta contro i percettori del reddito di cittadinanza, interna a una vera e propria criminalizzazione culturale della povertà e del disagio mai così esplicita e manifesta.
Potremmo scrivere una storia oppure accennare a una teoretica della cattiveria, affidandoci per esempio a Pier Paolo Pasolini e cercando l’attualità della sua riflessione sulla cattiveria del potere nelle pieghe di questa coda di nuovo fascismo dei consumi. Perché è con ogni evidenza e ancora, la nostra, l’epoca dell’universo orrendo, di un presente senza progetto, iper-produttivista, iper-mediatico e iper-consumistico.
Ma ci dedichiamo a un compito ben più modesto, perché la cattiveria è anche altro. Non è solo malvagità, perfidia. È anche malizia. Tigna, persino.
In questo spirito vorrei dare alcuni consigli alla sinistra italiana e al suo maggior partito, il Pd. Consigli cattivi: nel senso appunto di maliziosi e politicamente scorretti.
Il primo è tautologico. Sinistra, sii più cattiva. Non verso gli ultimi, imitando la destra, ma verso i primi. Ricordati che la tua ragione d’essere è nel conflitto sociale, perché solo il conflitto fa muovere la storia. Solo il conflitto, la rivendicazione di obiettivi di progresso e giustizia sociale esercitati attraverso i movimenti, produce conquiste. Solo la lotta, promossa dal protagonismo sociale di soggetti collettivi organizzati, determina l’avanzamento dei rapporti di forza. Il migliore approccio riformatore è quello consapevole di questa realtà e dunque non ripiegato su se stesso, in una sterile autonomia del momento istituzionale e, dentro quello, del governo. Dunque ricordati di promuovere obiettivi radicali, di indicare soluzioni davvero trasformative. Abbandona questa lenta e inservibile coazione a ripetere mosse inutilmente mimetiche, cautele, puro maquillage che ha contraddistinto l’intera vita del Pd. Riformismo sterile, accomodamento perenne allo status quo, compatibilismo, interclassismo senza prospettiva.
Il secondo è soltanto apparentemente in contraddizione con il primo. Sinistra, sii concreta e non parolaia. Dimostra che a ogni critica alla destra corrisponde una proposta. Sii scientifica in quel che proponi, chirurgica, precisissima sino al centesimo di euro che accompagna le idee che proponi. Se proponi il salario minimo dì di quanto deve essere e perché. Quanto costa, alle imprese e allo Stato, e quanto potrebbe portare, per esempio in termini di crescita. Se proponi una riforma fiscale improntata all’equità orizzontale e a una vera progressività spiega chi ci guadagna e chi ci perde, e perché. E non dimenticarti di fare i conti con una verità lapalissiana ma spesso ignorata nella sinistra della sinistra: se vuoi redistribuire la ricchezza, prima devi produrla. E dunque devi porti il tema di costruire una politica industriale seria, con idee forti, innovative e trainanti, unendo, sull’obiettivo, anche le imprese che accettano di coniugare ricerca e responsabilità sociale.
Il terzo: ridefinisci il linguaggio, lo stile, il modo di porti e di presentarti. La frattura che si è determinata negli anni scorsi tra la sinistra e il nostro popolo è una voragine. Quei milioni di elettori e cittadini che ora votano a destra o non votano hanno giudicato, con la loro disaffezione, i risultati di troppi anni di errori e scelte politiche sbagliate. Sul lavoro e sulla precarietà, sulla scuola pubblica, sul sistema di welfare nel suo complesso. Il nostro popolo ha giudicato queste scelte e ancora prima ha giudicato come siete (siamo?) apparsi, un modo di fare politica sbagliato e respingente: autoreferenziale, auto-conservativo, schiacciato sul momento elettorale, finalizzato al puro esercizio del governo, privo di anima e di passione. E incredibilmente personalistico. La sinistra trabocca di uomini e donne che vivono nella presunzione di essere provvidenziali. E di apparati, e claque, che non vedono al di fuori del naso di questi leader, confusi con la misura del mondo. È ora di finirla e di rifiutare questo meccanismo permanente di delega al capo, perché la passivizzazione porta quasi sempre a destra. E sempre, in ogni caso, alla disillusione quando le fortune del leader di turno si offuscano. E nell’avanspettacolo della politica compare un nuovo interprete a cui delegare in bianco.
Il quarto consiglio è un corollario del terzo, perché come non esistono re taumaturghi, non esistono neppure uomini e donne per tutte le stagioni. E le classi dirigenti di questi ultimi anni, coloro i quali sono stati in prima fila, hanno fallito. Per questo, banalmente, non sono credibili per indicare nuove strade o interpretare tempi nuovi.
Sono ovviamente semplificazioni, asserzioni quasi epigrammatiche, utili a sollecitare un po’ di sana reattività nei confronti della nostra cara sinistra.
Avremmo bisogno di ben altro, ma un primo colpo di coda assestato contro il presente dal nostro diavolo dantesco può essere un buon inizio.