20 Feb Una guerra
di Marco Palladini
“Padre fai qualcosa di bello,
sparati al cervello”. Un figlio
(Letto su un periferico, edipico muro,
adorno di graffiti.)
Nello spaese reale detto Itaglia sembra a me
indubitabile che sia oggi in corso una guerra
intergenerazionale. Una guerra ufficialmente
non dichiarata, a intensità apparentemente
non troppo virulenta, epperò comunque una guerra
che oppone drasticamente i vecchi e i giovani.
Una guerra che stanno vincendo (per ora) i vecchi
e che fa milioni di morti (sociali) tra i giovani
costretti all’inoccupazione, al precariato perenne
o, quando va bene, al dispatrio forzato.
È un intero blocco anagrafico, un esercito
socio-civile semplicemente in sovrappiù,
superfluo per il mercato del lavoro.
Il paradosso è che i giovani disoccupati
(da qui all’eternità) sopravvivono
in buona misura grazie ai vecchi, grazie
alle loro pensioni, alle loro rendite di posizione.
Dunque, i giovani non possono neppure sognare
di uccidere i vecchi da cui dipende
la loro sopravvivenza. Possono soltanto languire
e appassire in attesa di diventare più che
dei poveri vecchi, dei vecchi poveri, anzi poverissimi.
È d’altronde pensabile che in una guerra
una parte si metta… da parte, cioè si suicidi
per lasciare vincere l’altra? Siamo pertanto
ad una aporia politico-antropologica,
ad un rebus socio-economico insolubile,
ma una guerra è una guerra ovvero è una tragedia
maxima e non v’è chi non la può vedere.
E, del resto, in che modo si può disertare
un sistema che desertifica?
Ci trasciniamo così nel baratro,
senza la coscienza dell’abisso.
Nel medio-lungo termine, è vero, si muore tutti,
ma nel frattempo i vecchi che resistono
si godono più o meno beati l’argenteo loro
residuo di vita, mentre i giovani che desistono
si perdono invece l’età migliore
della loro esistenza senza baricentro.
Ad un’ora incerta, in un giorno
inimmaginabile, forse perso per perso,
una rivoluzione ci sarà. O sarà la fine.
(Per tutti).