17 Ott Figli di un dio minore
“La fragilità del diritto vivente”, di Francesca de Palo
PREMESSA
Il recente dibattito intorno ai diritti dei minori già figli di coppie omogenitoriali che hanno fatto ricorso alla maternità surrogata o alla procreazione medica assistita (PMA) fuori dal territorio nazionale, ci riporta inevitabilmente alla vexata quaestio del rapporto tra astrattezza della norma e singolarità del caso concreto, che già Aristotele trattava nell’Etica Nicomachea, con il concetto di “equo”.
In buona sostanza, l’“equo” rimedia all’astrattezza della legge con la concretezza del giudicato.
“Quando dunque la legge parli in generale, ma in concreto avvenga qualcosa che non rientri nell’universale, allora è cosa equa il correggere la lacuna là dove il legislatore ha omesso ed errato, parlando in generale: e ciò direbbe anche il legislatore stesso se fosse presente colà, e se avesse previsto la cosa l’avrebbe regolata nella legge. Perciò l’equo è giusto ed è migliore di un certo giusto: non del giusto in assoluto, bensì dell’errore della legge, in quanto parla in generale. E questa è appunto la natura dell’equo: di correggere la legge là dove essa è insufficiente a causa del suo esprimersi in universale”
Ma può il diritto positivo (e i principi che lo innervano: di legalità, di tassatività, di divieto di analogia, di vincolo del giudice alla legge, etc.) essere messo alla prova dai fatti? Può la giurisdizione affiancare il legislatore nel ruolo creativo di produzione del diritto?
Costituzionalmente parlando, la risposta è NO.
Il criterio della separazione dei poteri (enunciato dall’art. 101, comma 2° della nostra Costituzione), oltre a ribadire il principio della soggezione dei giudici «soltanto alla legge», sancisce la par condicio di giudice e legislatore quando si tratta di interferire nella produzione di diritto: quello vigente spetta solo al legislatore, quello vivente al giudice, che con l’argomentazione equitativa, semplice o ponderata, produce il diritto giurisprudenziale secondo il principio di legalità. Il carattere di questa produzione resta però cognitivo, non creativo.
“Il diritto vigente è infatti un fenomeno linguistico, che come tutti i fenomeni linguistici ammette l’argomentazione giudiziaria. Il cosiddetto diritto vivente è a sua volta un’attività cognitiva che comporta la scelta (inevitabilmente discrezionale che proprio per questo deve essere razionalmente argomentata), del significato ritenuto il più plausibile tra quelli possibili della norma vigente da applicare”.
Secondo gli orientamenti kelseniani e post-kelseniani di tipo paleo-giuspositivistico, l’orientamento ermeneutico, quello principialista di tipo neo-giusnaturalistico e quello storicista/neopandettista, fino alle varie correnti del realismo giuridico, tutte a sostegno dello sviluppo di un diritto giurisprudenziale disancorato dal diritto legislativo, la risposta è SI.
“Ciò che accomuna tutti questi diversi orientamenti è il primato riconosciuto alla giurisdizione rispetto alla legislazione quale fonte creativa di diritto, l’abbandono scettico dell’idea della subordinazione della prima alla seconda e la centralità associata al caso concreto, non soltanto nell’attività probatoria ma
anche nell’interpretazione della legge” (…). Un fattore di espansione del potere giudiziario è la struttura multilivello degli attuali ordinamenti. La prima articolazione multilivello della legalità è quella generata dalla rigidità delle odierne costituzioni, che affidano ai giudici la censura diretta o indiretta dell’illegittimità costituzionale delle leggi medesime per incompatibilità con i principi costituzionali dell’uguaglianza delle persone, delle libertà fondamentali e dei diritti sociali. Ha fatto così la sua comparsa la figura, inconcepibile nel vecchio stato legislativo di diritto, del “diritto legislativo illegittimo”, per contrasto con le norme costituzionali. È cambiato, conseguentemente, il rapporto tra giudice e legge. I giudici, benché sottoposti alla legge, sono dotati del potere di controllarne la costituzionalità: i giudici ordinari del potere di eccepire e il giudice costituzionale del potere di dichiarare l’invalidità costituzionale delle leggi. Solo l’argomentazione interpretativa, d’altro canto, può volta a volta adeguare ai principi costituzionali i testi delle leggi ordinarie, argomentando come valide le sole interpretazioni dei secondi compatibili con i primi. A questa prima articolazione multilivello se ne sono poi aggiunte altre due: la creazione di uno ius commune europeo, prodotto soprattutto dalla Corte europea di giustizia sul modello giurisprudenziale del common law e caratterizzato dalla complessità del nuovo sistema di fonti – statali, infra-statali e sovra-statali – e dall’incertezza delle loro relazioni gerarchiche; lo sviluppo infine di una legalità di livello internazionale, affiancata più che sopraordinata alla legalità degli Stati nazionali, cui ha corrisposto, con la creazione di corti sovrastatali e il fenomeno crescente del dialogo tra corti nazionali e corti sovranazionali, un’ulteriore espansione della giurisdizione e dell’argomentazione interpretativa.