31 Ott Elogio della fragilità
di Santo Rullo
Le recenti crisi sociali stanno rappresentando un’occasione per ridefinire i concetti di vulnerabilità, resilienza, fragilità ed adattamento, in particolare per quanto riguarda la condizione complessa di benessere psicosociale e di salute mentale dell’individuo e della collettività.
Gli elementi di stress acuto e cronico che sono conseguiti a questo periodo critico hanno naturalmente aumentato il disagio psicologico della popolazione, avendo come fattore comune la condizione di incertezza.
L’impatto della globalizzazione sui gruppi sociali, la pandemia da COVID-19, le migrazioni e la relativa accoglienza, la crisi economica determinata dall’inflazione, una guerra ai confini dell’Europa, la crisi climatica e del lavoro, l’impatto dell’intelligenza artificiale sono solo alcuni dei cambiamenti epocali che stanno richiedendo uno sforzo di adattamento individuale e collettivo.
Fino a tre anni fa eravamo relativamente “certi” che la nostra salute fosse insidiata solo da malattie degenerative e da condizioni croniche non trasmissibili e ci siamo trovati di fronte un nemico sconosciuto e mortale in veste di virus invisibile. Eravamo nell’era della “fine della storia” e della crescita e dello sviluppo senza limiti e ci siamo ritrovati con una guerra dietro la porta e con la necessità di rendere sostenibile non tanto il progresso, ma ciò che abbiamo, per non compromettere il futuro del pianeta e delle nuove generazioni: tutte certezze o quasi, minate alla base.
Il paradosso del nostro tempo è la coesistenza di una sempre maggiore liquidità del contesto sociale con caratteristiche e strutture che si vanno decomponendo e ricomponendo rapidamente, in modo vacillante, incerto e volatile con la ricerca di certezze, a volte promesse dagli algoritmi previsionali. La modernità liquida, per dirla con le parole di Bauman, è “la convinzione che il cambiamento è l’unica cosa permanente e che l’incertezza è l’unica certezza”.
È quella che Beck definisce “società del rischio”, una società che produce una condizione di insicurezza non stimabile. Questa insicurezza sociale che l’uomo vive ha di fatto trasferito il costo della non linearità previsionale di molti fenomeni sociali sui singoli: e questo costo è certamente il costo emotivo della perdita delle certezze.
Ma mentre per alcuni individui l’esposizione prolungata al rischio ha indotto un cambiamento ed una crescita personale, per altri, forse la maggior parte, l’esposizione continua allo stress cronico e all’incertezza ha determinato danni psicologici più o meno rilevanti.
Questa lunga premessa mi consente di entrare nella definizione di fragilità ed in particolare di fragilità psicologica. Il concetto di fragilità psicologica, pur se poco rappresentato e non ben definito nella letteratura scientifica, viene spesso riferito alla carenza o inadeguatezza oggettiva o soggettiva di strumenti per gestire i nostri stati interiori più complessi, oltre che alla difficoltà di affrontare le situazioni di una vita quotidiana, diventata più incerta. In questa accezione la fragilità sarebbe il contraltare della resilienza ossia della capacità di un individuo di affrontare e superare un evento traumatico o un periodo di difficoltà. Quindi una contrapposizione tra una carenza ed una capacità. Dopo ogni crisi si elogia la capacità di sopravvivenza ed adattamento considerando la fragilità un peso, nel caso della fragilità psicologica quasi una colpa, in connessione con lo stigma che da sempre coinvolge i tentennamenti della psiche.
Ma l’impatto psicologico degli eventi traumatici non può essere ridotto alla semplice resilienza personale: esso si lega indissolubilmente alle interazioni dinamiche tra l’individuo e le circostanze strutturali e sociali in cui vive. La resilienza è infatti una condizione dinamica e variabile, multidimensionale e determinata da numerosi elementi, quali ad esempio predisposizioni genetiche, fattori ambientali, abilità personali e sociali.
Andiamo quindi ad esaminare i fattori individuali e successivamente quelli contestuali che portano la persona a confrontarsi con un aumentato senso di insicurezza ed a reagire bene o male a questo vissuto.
Ci sono diversi elementi che differenziano un buon funzionamento della psiche da uno medesimo che fallisce nel suo intento. Tra questi elementi c’è sicuramente l’esito: ciò che funziona ci porta ad un risultato adattativo ed alla ripetizione della strategia adottata. Ciò che non funziona ci procura inizialmente disagio, una sensazione di scomodità, che dovrebbe portare ad una modifica rapida della condizione stessa, prima che avvenga un adattamento scomodo. Il disagio è quindi un segnale a cui va dato un senso prima che assuma connotati patologici. Ma di che disagio stiamo parlando? Cosa è scomodo nel processo di riconoscimento e di attivazione delle proprie risorse? Non stiamo certo parlando di aspetti razionali. La ricerca di dati “certi” di fronte a segnali di insicurezza finisce spesso per rivelarsi un boomerang che confonde e rende più insicuri. Il balletto di notizie e contro-notizie scatenato dalle modalità per affrontare la pandemia ne è stato un esempio chiaro. La ricerca di sicurezza ha portato ad assolutizzare ciò che è relativo, segnando una separazione netta tra pro e contro di una determinata azione (Si-vax VS No-vax). Un atteggiamento meno estremo avrebbe dovuto lasciare spazi di sovrapposizione delle azioni da intraprendere e possibilità di contrattazione delle scelte fondate sull’esperienza, piuttosto che sul pregiudizio, più o meno scientificamente fondato.
In una situazione incerta, se non si sceglie una strada possibile, ma si cerca quella certa che non esiste o quella giusta a priori dettata dal pregiudizio, aumenta il senso di insicurezza e il disagio può diventare disadattamento, che è pur sempre una forma un po’ particolare di adattamento, con un maggior dispendio di energie. Ad esempio una postura scomoda, ma antalgica, mantenuta per un lungo tempo porta spesso a dolori maggiori di quelli che si cerca di evitare. Ma ancora siamo ampiamente all’interno della fisiologia dell’adattamento e si può fare qualcosa affinché il comportamento non diventi patologico.
Solo per fare un esempio, le iniziative tese al contrasto della diffusione del coronavirus da COVID 19 hanno portato al comportamento, “disadattivo” per il genere umano, dell’isolamento sociale. È stato necessario isolarci, ci siamo adattati, perdendo o modificando una parte delle nostre capacità di relazione sociale. È costato impegno ed energie e l’umore generale, inteso come fiducia di farcela, è peggiorato.
Con l’andare del tempo una condizione di disagio immodificata può turbare l’equilibrio psicologico finendo per recare un danno patologico che definiamo disturbo dell’adattamento, ossia una risposta emotiva e/o comportamentale disadattiva a uno o più eventi psicosociali stressanti identificabili.
Nel caso del COVID 19 si è verificato un sostanziale aumento dei “disturbi dell’adattamento con umore depresso, con ansia o con alterazione della condotta”.
Di fatto sono questi i disturbi psichiatrici il cui dato epidemiologico è fortemente cresciuto in questi anni, quelli determinati dalla difficoltà oggettiva di adattarsi a situazioni sovraccaricanti o imprevedibili. I disturbi mentali principali come la depressione maggiore, i disturbi bipolari e quelli psicotici (es. schizofrenia) sono determinati da un’interazione di elementi biologici, eredo familiari, psicologici e sociali nella quale la vulnerabilità personale ha un peso più consistente: vulnerabilità che ha poco a che fare con l’umana condizione di fragilità.
Ecco il punto: nel 1509 Erasmo da Rotterdam scriveva il suo “Elogio della Follia”, un testo ironico nel quale la Follia, parlando in prima persona, critica e tesse le lodi di sé stessa, passando in rassegna le miserie del genere umano, le sue debolezze, la sua confusione interiore, le sue false illusioni, le sue paure e tutti i suoi limiti. L’alterazione della ragione, la follia, si trasforma nella saggezza della natura, pronta a soccorrere l’uomo in preda alla conoscenza. Quel capolavoro ebbe il pregio di mettere in discussione e sovvertire luoghi comuni riguardanti le discipline umane “perché tutte le passioni sono un prodotto della Follia”.
Perché proporre oggi un Elogio della Fragilità? Quali giudizi precostituiti possiamo mettere in discussione per riavvicinarci alla saggezza della natura, in un periodo storico nel quale il soggettivismo ed un eccesso di fiducia nella razionalità hanno minato le basi della modernità, togliendo punti di riferimento, dissolvendo tutto in liquidità e rendendo un problema l’incertezza che ha sempre caratterizzato il mondo?
Innanzitutto la fragilità ha qualcosa a che vedere con la sensibilità emotiva, pur non essendo la stessa cosa. Percepire empaticamente le difficoltà degli altri e del mondo che ci circonda ci mette in contatto con la nostra dimensione di fragilità, di limite da conoscere e da rispettare. Un limite, non una carenza. L’esatto opposto dell’ipertrofico senso di onnipotenza del narcisismo imperante. E se ci si sofferma sui fattori che favoriscono la resilienza individuale ci accorgiamo che elementi come l’autostima o il senso di autoefficacia siano strettamente correlati alla adeguata percezione di sé e dei propri limiti. Altro elemento legato alla resilienza è il senso di controllo, naturalmente di ciò che è controllabile, nel tempo e nello spazio reali (ad esempio non nel mondo virtuale). L’attuale aumento dei disturbi da attacchi di panico si lega all’improvviso senso di perdita di controllo di ciò che ci illudiamo di controllare. E ancora la capacità di regolare ed esprimere i propri stati emotivi, correlata ad una equilibrata sensibilità emotiva, migliora l’adattabilità agli eventi stressanti.
Per concludere, cosa elogiare della fragilità e come promuovere una cultura del rispetto di questa caratteristica così umanamente utile?
Elogiarne il legame con le emozioni, quelle vere, quelle che forniscono un’informazione aggiuntiva non razionale che permette di orientare i comportamenti rendendoli responsabili ed incondizionati. Elogiare la fragilità perché è una caratteristica individuale preziosa da tutelare con una cura appropriata, mai eccessiva.
Elogiare infine la consapevolezza che conoscere i propri limiti e metterli in comune con gli altri può ricreare il senso di comunità degli esseri umani, minata dall’incertezza delle relazioni della post-modernità. Questa è una certezza di fronte a tante incertezze.
Z. Bauman, Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone, Roma-Bari, Laterza, 1999
U. Beck, La società del rischio. Verso una seconda modernità, Carrocci, 2013
Erasmo da Rotterdam, Elogio della Follia, traduzione di Carlo Carena, Collana i millenni, Torino, Einaudi, 1997. – Collana Einaudi Tascabili, 2002-2021