Shylock la vittima

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di Moni Ovadia

L’ebreo in quanto tale è stato per più di due millenni il malvagio, il reprobo, il maledetto per definizione. L’accusa che gravava su di lui era irredimibile per la sua inaudita gravità: il deicidio. Ma dopo la pubblicazione e la rappresentazione del “Mercante di Venezia” di William Shakespeare, il malvagio per antonomasia diventa un ebreo specifico, Shylock che supera per fama persino Assuero, der ewiger Jude, l’ebreo errante. Nella vulgata desunta dall’opera del Cigno di Avon, Shylock è un uomo abietto oltre ogni limite. Era davvero questa l’intenzione di Shakespeare? A mio parere non solo la demonizzazione dell’ebreo di Venezia non era l’intento dell’immenso drammaturgo, ma, per ciò che mi è dato intuire, quello che si legge nel suo testo è esattamente il contrario. La scelta di Venezia come scenario del dramma non è casuale. La leggendaria città lagunare quando era la grande potenza marittima, aveva una profonda natura eminentemente mercantile. Come dice il mio amico Gualtiero Bertelli, veneziano purosangue: ”A Venesia iera tuti bevegnui, basta che gaveva schei”.

Ora, il buon e bel Antonio da bravo veneziano era mercante. All’improvviso ha bisogno di soldi, ma non dispone di liquidi, perché i suoi sono tutti impegnati in una vasta operazione commerciale, navi che trasportano merci. Cosa fa allora si rivolge a Shylock per avere un prestito. Quale è il rapporto che Antonio intrattiene abitualmente con l’ebreo? Di totale disprezzo, quando lo incontra lo insulta e gli sputa sul gabbano, lo prende a calci, lo umilia pubblicamente. Antonio ha bisogno di soldi, perché? Per nobili motivi? Assolutamente no! Deve finanziare l’intimo amico Bassanio – secondo diversi critici – il suo amante. E per quali motivi Bassanio ha urgente bisogno di quattrini per conquistare la ricca, bella e virtuosa Porzia. E come mai Bassanio non si serve del suo fascino per sedurre Porzia? Perché, come fa notare René Girard nel suo saggio “Shakespeare, il teatro dell’invidia”, si tratta di un’operazione finanziaria, Porzia viene lodata prima per le sue ricchezze, poi per la sua bellezza e solo da ultimo per la sua virtù. L’unico a cui i soldi non interessano è Shylock, egli come garanzia per il cospicuo prestito chiede una libbra di carne. Che farà di quel pezzo di carne? “…esche per i pesci – se non nutrirò nient’altro, nutrirò la mia vendetta.” Ma c’è di più. Shakespeare mette in bocca a Shylock il monologo che dichiara, secoli prima della Dichiarazione dei Diritti Universali dell’Uomo, l’universalità dell’uguaglianza degli esseri umani:” Un ebreo non ha occhi? Un ebreo non ha mani, organi, membra, sensi, affetti, passioni? Non è nutrito dallo stesso cibo, ferito dalle stesse armi, soggetto alle stesse malattie, guarito dalle stesse medicine, riscaldato e raffreddato dallo stesso inverno e dalla stessa estate di un cristiano? Se ci pungete, noi non sanguiniamo? Se ci fate il fate il solletico, non ridiamo? Se ci avvelenate, non moriamo? E se ci fate un torto non dobbiamo vendicarci? Se siamo come voi nel resto, somiglieremo a voi anche in quello…”.

Alla fine di tutta la storia, Shylock verrà raggirato con un bieco trucco da leguleio, escogitato da Porzia travestita da avvocato, degno della peggior legge ad personam, un vero schifo. La morale è: ”La malvagità che voi mi insegnate io la metterò in atto…”, la pedagogia dell’infamia è appannaggio della Venezia cristiana e di essa Shylock si propone di essere l’ottimo allievo. Povero ingenuo non si immagina neppure quale ne sia la vera natura. 

Shakespeare lo sa! E lui è un genio assoluto.


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