30 Nov “Espropriazioni” e quei protagonisti che non cessano mai di sentirsi estranei
Espropriazioni, Barbara Buoso, Vita Activa Nuova
È un libro coraggioso quello di Barbara Buoso, un inno a quanto è fuori norma, ‘minoritario’, a partire dal genere scelto, quello del racconto, oggi trascurato, tenuto ai margini del mercato editoriale per logiche miopi e infruttuose, come sempre accade quando il profitto regola il mondo della cultura. Eppure questa raccolta di scritti, dal secco titolo Espropriazioni (Vita Activa Nuova, 2023), è quanto di più vibrante si possa leggere, in un panorama oggi soffocato da percorsi di formazione, da epopee familiari gloriose, da piccoli drammi che non varcano il salotto di casa.
Le storie che l’autrice fa raccontare – o meglio, incarnare – ai suoi personaggi altro non sono, invece, che l’oggettivazione delle infinite sfumature di un unico grande esilio, sia esso esistenziale, politico, sociale. Difficile immaginare un teatro della scena meno ordinario di quello approntato da Buoso, che si muove tra campi e pianure, tra interni e anonimi e città schiacciate dalla nebbia e dal cemento.
Ma è in questa quotidianità esibita che avviene la frantumazione di una routine dannosa, quella della normatività sociale che addita l’altro come diverso, lo pone ai margini del consesso sociale per evidente miseria umana, quasi bastasse scostare lo sguardo per sentirsi assolti, meschinamente incontaminati. È in questa incrinatura che un semplice dubbio, un’indecisione, un fatto strano riesce a creare un vuoto in cui l’immaginario può mettere in scena i suoi fantasmi.
Le vicende che si dipanano in margine alla norma del mondo là fuori rivelano inattese crepe sulla superficie apparentemente liscia della realtà, ed ogni ‘trasgressione’, ogni smarginatura si pone come interrogativo sull’oggi, su un presente votato all’illusione, alla certezza di essere a posto.
In questa prospettiva, il vissuto degli individui narrati è la naturale conseguenza di un’esistenza confinata sul piano opposto a quello ‘normale’, in cui la maggioranza cammina e detta giudizi sommari, come la madre del primo racconto che imputa alla nuora ‘terrona’ la morte del proprio figlio, o come lo sciame che ruota attorno a Dario, ragazzo col suo alfabeto speciale, costretto al dileggio dei pari, sottratto alla forza della fragilità.
Così, l’esibita diversità diviene l’unica chiave d’approccio a un mondo in cui i protagonisti non cessano mai di sentirsi estranei e che si mostra insensibile alla loro azione, alla loro sensibilità emotiva e/o razionale, anche quando con movimenti ora febbrili ora stanchi si sforzano in tutti i modi di provocare una reazione.
L’inventario delle estraniazioni è in tal senso interminabile, e Barbara Buoso ne fa un quadro esemplare, tracciato con uno stile lirico e lucente, fornendo le coordinate per orientarsi nel mondo del disorientamento, dove ogni cosa è guasta, traballante eppure piena di vita.
Resistente, nonostante, come tutto ciò che è eccezionale.
“Espropriazioni” Descrizione
I protagonisti di questi racconti vivono su una terra da cui si sentono estromessi e incompresi ma sarà proprio grazie a quelle infinite pianure, al fuoco, all’aria, all’amore, che riusciranno a lottare per farsi riammettere nel circolo dell’esistenza e affermare il proprio posto nel mondo. Sono gli anni in cui Fabio, ragazzo dalla pelle lunare, lascia il Polesine, per avventurarsi in mare, innamorandosi perdutamente di Francesca e ripudiando il proprio passato. Quella stessa terra sarà razziata dalla giovinezza strafottente di Filippo e Nicola, due ragazzi alle dipendenze di un padrone che li sfrutta facendoli lavorare giorno e notte ma la fatica non gli impedirà di sottrarsi alla tagliola della vita che li vedrà rivali in amore ma compagni di scorribande. Alessandra che lava via il sangue dalle sale operatorie per una cooperativa di Adria ricucirà il cuore di Gian Marco tormentato dalla presenza della madre, mettendogli in mano il proprio. In una terra ghiacciata da un evento meteorologico straordinario due donne sfidano Dio: nessuno si potrà più ammazzare nel fiume ora che è diventato una lastra! Attraverso una scrittura lirica e viscerale che accompagna i personaggi nel loro destino, l’autrice, come Lucrezia in “Di notte seguivamo le stelle” tenta di radunare i vivi e i morti in un ultimo commiato d’amore e, finalmente, lasciarli liberi.