I giovani, i social media e la loro fragilità

Condividi:

di Franz Russo

Ogni generazione di ogni epoca ha dovuto confrontarsi con il suo tempo. La storia è piena di esempi che hanno ispirato altre generazioni. Quello che stanno vivendo le giovani generazioni del nostro tempo, la generazione z nello specifico, è un tempo accelerato. Un tempo che vive ritmi sempre più veloci che richiedono grande attenzione.

La recente crisi pandemica può essere un esempio di questo tempo accelerato, anzi, è più di un esempio. Rappresenta, forse, un momento di rottura a cui non eravamo preparati.

Tutta questa velocità, tutta questa accelerazione può essere interpretata, a seconda dei punti di vista, in maniera differente. Se in certi contesti ha permesso di agganciare l’evoluzione delle nuove tecnologie e reso il digitale da opportunità a vera infrastruttura per la crescita, è anche vero che in altri contesti ha generato iperconnessione che porta con sé una serie di problemi che si stanno manifestando sotto i nostri occhi.

Le nuove generazioni, e ci riferiamo in particolar modo alla generazione Z, usano il digitale in maniera diversa dalle generazioni più mature. E questo dato è evidente per il fatto che queste generazioni sono quelle definite “native digitali”. Vale a dire che, a differenza delle altre, sono nate in un contesto digitale per loro abituale, non avendo dovuto effettuare alcun passaggio dal mondo analogico. Quel passaggio che ci porta a parlare di “trasformazione digitale”.

Ebbene, la generazione Z usa i social media come strumenti nati all’interno del mondo digitale, per comunicare e per informarsi. Non è un caso che molti giovani, oltre l’80%, usi YouTube tanto per intrattenimento quanto per imparare cose nuove. Per non parlare di TikTok, la piattaforma che negli ultimi due anni sta conoscendo un livello di crescita esponenziale riuscendo ad abbracciare qualsiasi ambito. Dall’intrattenimento, all’informazione, allo sviluppo di relazioni e anche di nuovi trend.

Senza entrare troppo all’interno di tecnicismi, è evidente a tutti che queste piattaforme stanno cambiando. Sono già cambiate, con l’obiettivo di agganciare l’attenzione dei più giovani, delle generazioni digitali, quelle che più di altre offrono opportunità per le stesse piattaforme. I social media stanno cambiando soprattutto perché la generazione Z ha imposto un cambio di passo. Solo che le stesse piattaforme, per loro natura, cercano di sfruttare questo momento per i propri interessi, ovviamente. E tutto questo ha un prezzo. Un prezzo altissimo che rischiano di pagarlo, ironia della sorte, proprio coloro che vivono questa accelerazione, ossia le nuove generazioni.

Un chiaro riscontro del prezzo che viene pagato dalle nuove generazioni individuabile nella loro fragilità. Ossia, essere sopraffatti da un continuo fiume di notizie, essere stressati da nuovi paradigmi di immagine e di apparenze che mette a dura prova il loro benessere psico-fisico. Un prezzo da pagare altissimo la cui responsabilità per buona parte ricade anche su di noi, sulle generazioni precedenti per non aver avuto la prontezza di agire quando era il momento.

Sotto questo aspetto, a livello internazionale ci sono diversi studi che dimostrano questa relazione tra fragilità, nuove generazioni e uso eccessivo dei social media. C’è addirittura, come lo psicologo Jonathan Haidt, chi vede la “Gen Z” come irrimediabilmente persa nei propri schermi, annegata nella ricerca dell’affermazione digitale attraverso i social media. Eppure, a vantaggio di queste nuove generazioni, c’è da registrare che hanno dovuto sopportare stress che nessuna delle generazioni precedenti, negli ultimi cinquant’anni almeno, ha mai conosciuto. Questo va detto.

In Italia, uno studio recente, che ha visto Paolo Crepet come direttore scientifico, ha esplorato i comportamenti dei giovani sui social media, rilevando che il 20% del campione esaminato è bramoso di ammirazione, ossia rincorre la necessità di essere ammirati per coprire insicurezza e fragilità. Questo è un dato di fatto. “I social media sono strumenti individuali e un follower che segue un influencer con bramosia, denota insicurezza” – chiosa Crepet a margine della ricerca. Aggiungendo anche l’importanza di instaurare un dialogo costante coi ragazzi, “vivono la loro età evolutiva e dobbiamo abbandonare le generalizzazioni”.

Di fronte a questo scenario, noi tutti abbiamo un compito, partendo dal dialogo, come suggerisce sempre Crepet, e non abbandonare mai queste generazioni di fronte ai loro problemi. Un errore che tutti abbiamo commesso, demandando spesso al digitale come soluzione unica e universale. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Ma non tutto è perso. La generazione Z sta plasmando un nuovo corso dei social media, come dicevamo prima, rifuggendo le modalità imposte e iniziando a costruire un proprio ambiente sempre più privato, sempre più intimo. Sembra quasi che questo atteggiamento, in netto contrasto con l’andamento generale, risponda ad una richiesta di maggiore protezione. 

Di fronte al fiume di notizie e alla continua esposizione di informazioni e modelli da seguire, imposti dalle stesse piattaforme per catturare il loro coinvolgimento, ecco che la Generazione Z risponde con l’uso di funzionalità messaggistiche e una condivisione dei contenuti più intima. Un esempio è il crescente uso delle Stories di Instagram in modalità sempre più privata e non aperta a tutti. L’interazione che nasce da questa modalità effimera si sposta poi all’interno della messaggistica dell’applicazione. Tutto rimane più intimo e meno esposto al giudizio degli altri.

Ecco, questo atteggiamento denota la grande capacità della generazione Z di fuggire all’oppressione imposta da modelli spesso irraggiungibili, capaci solo di alimentare insicurezza e fragilità, e di crearsi un proprio ambiente.

Questo atteggiamento è assolutamente positivo e fa ben sperare.


Condividi: