Angela era il passato e il presente in costante tensione verso il domani

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Sono trascorsi poco più di quindici giorni dalla morte di Angela. E sempre vivo è il dolore che se ne prova. L’assenza di lei permea le vite di chi l’ha conosciuta e amata, facendosi sentire più acuta nei momenti di quotidiana solitudine. Nei momenti in cui si avrebbe bisogno, e quanto, della sua parola chiara, del suo sguardo guizzante, della sua risata rasserenante o meglio ancora, per dirla con Pietro Folena, contagiosa. «Mi manca la presenza della sua figura», cantava potentemente Giuni Russo, ispirandosi al Cántico espiritual di Giovanni della Croce. E possiamo ripeterlo a ragione, nel caso di Angela. Eppure, la sua figura, anche se non fisicamente, è più vicina di quel che si immagini: lo è attraverso il ricordo e il racconto che la fanno a noi presente.

Della “compagna Bottari”, come veniva chiamata all’interno di quel PCI che la vide tra le sue iscritte dal 1971 e tra le sue deputate dal 1976 al 1987, molto è stato detto e scritto all’indomani della sua scomparsa. È stato così disvelato ai più, forse addirittura ignari dell’esistenza stessa dell’ex parlamentare messinese, quanto l’intero Paese le sia debitore in termini di avanzamento dei diritti e delle libertà della persona. Diritti e libertà delle donne, innanzitutto, per le quali lei, “ragazza di provincia” approdata alla Camera, insieme con l’inseparabile Romana Bianchi, e le non meno amate Rosanna Branciforti, Carla Nespolo, Ersilia Salvato, Maura Vagli, si è battuta con convinzione e tenacia in Aula e nelle piazze. Ma anche all’interno di un grande partito, che con la sua solita parresia non esitava a definire «maschile e maschilista». «Noi – così Romana ai funerali in Palazzo Zanca a Messina – volevamo cambiare il Pci, perché le donne non fossero ammesse ma protagoniste. Volevamo cambiarlo, standoci dentro e discutendo con quegli uomini e quelle donne che, con noi, avevano costruito una grande casa comune. E noi volevamo abitare quella casa ma in modo autonomo».

Tra i banchi di Montecitorio, Angela, ha dedicato tempo e impegno alla questione femminile, diversamente intesa secondo le istanze del movimento femminista e non più ristretta alla sola visione emancipazionista: basti ricordare il ruolo di relatrice del progetto di legge per l’abrogazione della rilevanza penale del delitto d’onore dal dicembre 1978 fino alla fine della VII legislatura (19 giugno 1979) e la presentazione, a sua prima firma, del pdl contro la violenza sessuale (2 dicembre 1977). Di questa proposta di legge, che, prima in assoluto sulla drammatica realtà, ha dovuto ripresentare altre due volte durante la VIII e IX legislatura, sarebbe divenuta relatrice nel 1983. Poi il colpo di scena con le dimissioni dall’incarico tra le ire di Nilde Iotti, Giorgio Napolitano e altri vertici del partito: l’Aula della Camera aveva, infatti, approvato un inaccettabile emendamento di Carlo Casini, che da delitto contro la persona riconduceva la violenza sessuale all’alveo di delitto contro la moralità pubblica e il buon costume. Angela era così: schietta, diretta, allergica al compromesso, diventava addirittura irremovibile se c’erano in ballo i principi.

Da allora fino all’ultima malattia, che l’ha portata via il 14 novembre scorso a 78 anni, la pasionaria messinese s’è instancabilmente battuta non solo per le donne. Mai dimentica di lavoratrici e lavoratori, ha infatti esteso le sue battaglie di civiltà, ad esempio, alle persone omosessuali e transgender. Nota la sua amicizia con Pina Bonanno, che nel 1980 aveva fondato il MIT – Movimento Transessuali Italiano con Paola Astuni, Roberta Franciolini, Gianna Parenti, Roberta Ferranti. Memore della generosa accoglienza, della disponibilità all’ascolto e del fondamentale contributo di Angela all’approvazione della 164 – che, normando la rettificazione di attribuzione di sesso, riconosceva per la prima volta alle persone trans una dignità a lungo misconosciuta e poneva fine a un annoso calvario giudiziario per le stesse –, Pina non ha mai smesso di ringraziare chi continua a definire «amica adorata» e «colonna portante della legge del 1982». E poi quell’empatico sostegno alle istanze del movimento LGBT+, che nel 2021 l’ha vista apertamente intervenire a favore del ddl Zan. Anche nel mondo arcobaleno, Angela poteva vantare un primato: partecipando al primo anniversario del delitto degli “ziti”, tenutosi a Giarre il 22 novembre 1981, e a tutte le successive manifestazioni commemorative fino al recente documentario di History e Crime+Investigation, è stata infatti la prima parlamentare in assoluto a far conoscere sin da subito la storia di amore e di morte di Giorgio e Toni, sviluppando in parallelo la fondata riflessione sulla cultura patriarcale quale unica matrice della misoginia e dell’omo-lesbo-bi-transfobia.

Uguaglianza nella Diversità” a cura di Malacoda – 16 maggio, Roma, “Teatro Porta Portese” – Pietro Folena e Angela Bottari

Ed è nel segno dei due ragazzi giarresi che è nata e si è cimentata la mia amicizia con lei. Era il 26 marzo 2021, quando le ho parlato la prima volta: stavo scrivendo il libro sul delitto di Giarre, che sarebbe poi stato edito in giugno da Rizzoli, e volevo raccogliere la sua testimonianza. Quella conversazione telefonica, di cui conservo gelosamente la registrazione, è stata l’inizio di un’intesa profonda, che solo la morte ha potuto interrompere. «Mi sembra di conoscerti da sempre», mi ripeteva spesso. Ho perso il conto delle volte in cui abbiamo presentato il libro sul delitto di Giarre o cenato insieme. Le trasferte palermitane a casa della figlia Simona erano divenute impensabili senza una serata da trascorrere a Mondello con me e il mio compagno Michele, che letteralmente adorava. Ore indimenticabili, in cui le risate incontenibili – come quando, alla nostra richiesta di unirci civilmente, rispose amabilmente ruvida: Certo, con piacere. Però a una condizione: che evitiate la pagliacciata di vestirvi con abiti uguali – si alternavano a racconti palpitanti di memoria e riflessioni gravide di futuro. «Lei non era la storia, era la modernità», ha detto il deputato dem Giuseppe Provenzano a Gioacchino Silvestro, marito di Angela, il 14 novembre. E a ragione. Ma forse Angela era in realtà entrambe: era la storia e la modernità, era il passato e il presente in costante tensione verso il domani.

Cecidere manus: mi viene da ripetere così con Manzoni, che, disperato per la morte della sua Enrichetta e incapace di proseguire la composizione de Il Natale del 1833, utilizzò le parole vergiliane a chiusura dell’inno incompiuto. Anche a me, giunto a questo punto, son cadute le mani: la piena del dolore e della commozione è tale da non riuscire ad andare avanti nella scrittura. Riesco solo a pensare in silenzio. A pensare a te, Angela. So che la presenza della tua figura non mi abbandonerà mai. Non passa giorno che non mi risuoni nella mente l’esordio delle nostre telefonate: Soubrette, sei a Palermo o in giro per l’Italia? Grazie per avermi voluto bene come una sorella maggiore, per esserti fatta amica, consigliera, compagna di un tratto importante della mia vita.

Ciao, Angela mia.


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