“Mi fanno male i capelli” di Roberta Torre

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a cura di GINEVRA AMADIO

È un dolente gioco di specchi l’ultimo film di Roberta Torre, Mi fanno male i capelli, citazione nota, ma non ancora stravolta dall’abuso, del Deserto Rosso di Michelangelo Antonioni (1964), nel quale Monica Vitti incarna i tratti sofferti di chi non si orienta, di chi si avverte smarrito nella modernità («C’è qualcosa di terribile nella realtà, e io non so cos’è. Nessuno me lo dice») e reagisce con l’insoddisfazione e l’isolamento, con il peso gravoso di una diversa sensibilità.

Il nucleo dell’opera – presentata in anteprima alla Festa del Cinema di Roma – è già tutto qui, nell’indicibile scarto tra percezione e reale, dove le immagini svaniscono perché la mente cataloga, escogita un nuovo ordine, chissà se per sopravvivere o per avvicinarsi un poco alla verità, qualsiasi forma essa possa assumere. 

Così, la storia di Monica (Alba Rohrwacher) che ha «l’impressione di scordarsi ogni giorno qualcosa» si fonde con quella dell’attrice avvolta in polvere di stelle, ora soggetto imprevisto ora “vestale moderna”, impalpabile donna alienata nella trilogia di Antonioni, corpo in movimento nel gotha della commedia, diva desolata e pungente, prigioniera di una malattia degenerativa di cui colse le tracce: «A un certo punto della vita a mia insaputa, devo aver deciso di dimenticare. Non dimenticare i dolori o gli errori, ma dimenticare fatti, persone, forse solo confondere tutto». 

In un rispecchiamento commovente, così lieve nel narrare la perdita di una parte di sé – forse quella più razionale, significativamente contrapposta alla memoria tattile, che sopravvive al tempo – Roberta Torre edifica una triangolazione fra la protagonista, i film con Monica Vitti e il suo sguardo di regista al tempo esterna e compartecipe, sì che il racconto primario appare solcato da venature documentarie, come a indagare la dissolvenza dell’essere, il confine sottile tra identità e ruolo.

Risuona, in tutta la pellicola, la lezione di Guy Debord sull’alienazione come base della società dello spettacolo, ma è il peso della modernità il vero spettro di questa storia, l’ingranaggio in cui si impiglia l’ingenuità di Monica, in cui finisce schiacciato il marito Edoardo (Filippo Timi), costretto a mentire sulla casa messa in vendita per saldare il debito di una causa legale. È il modello performativo, l’idea che occorra sempre essere “in regola”, mai smarginati, mai debordanti, a innescare il cortocircuito dell’estraniazione, come se in fondo il mondo di qua fosse nient’altro che un carosello di illusioni, una mascherata senza senso. 

In questa prospettiva, il teatro della scena così riconoscibile (una Sperlonga invernale e malinconica) eppure mai nominato svela i tratti allegorici dell’opera, o almeno quel riferimento all’acqua come elemento primigenio, un liquido amniotico in cui immergersi per ritrovare la purezza, per abitare una zona ai margini dell’universo fisico e mentale, dove è possibile fuggire l’ordine, ribellarsi alle regole sociali.

Torre affianca i frammenti dei film di Vitti – da La notte e L’eclisse a Le coppie, da Teresa la ladra a Polvere di stelle, da Amore mio aiutami a A mezzanotte va la ronda del piacere – a immagini tratte da pellicole sperimentali come Limite di Mario Peixoto, Le tempestaire di Jean Epstein, Quando l’occhio trema di Paolo Gioli. È un metodo atto a ricreare l’evaporazione, a rompere le convenzioni nel solco della Nouvelle Vague qui evocata dai fiori in vaso e dai colori pastello alla Agnès Varda (si pensi a Le bonheur, 1965).

Un mondo di immagini che si creano e si perdono nella sala buia di un cinema, l’invenzione senza futuro. Il solo mezzo, in fondo, per scalfire la realtà.

MI FANNO MALE I CAPELLI
di Roberta Torre, Italia, 2023, 83’

Una bella signora bionda sulla spiaggia, orme, onde, lei che raccoglie qualcosa dalla sabbia. Poi si avvicina a un ragazzo e gli dice di essersi perduta. Da una casa vicina un uomo la osserva: Monica sta perdendo la memoria, Edoardo, il marito, la accompagna con tenerezza nelle vite che lei si ricostruisce attraverso i film di Monica Vitti, La notte, L’eclisse, Deserto rosso, Teresa la ladra, Amore mio aiutami, Polvere di stelle…

 


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