09 Giu Elogio di Caino
di Pietro Folena
La vicenda di Caino, dopo che Eva, la madre, tentata dal serpente, aveva convinto Adamo a mangiare il frutto proibito, e dopo la cacciata dal Paradiso terrestre, rappresenta il fondamento stesso della civiltà occidentale, e delle sue religioni. La disobbedienza di Caino a Dio, il suo efferato fratricidio e la condanna eterna ad errare, da peccatore, nel mondo, forniscono all’esistenza degli uomini e delle donne una sorta di costituzione morale. La cattiveria è nel mondo reale, e la redenzione, ci dicono le tradizioni religiose, è in un’altra dimensione, non terrena.
Siamo tutti Caino, quindi.
Siamo tutti peccatori.
“Signore, io peccatore ti chiedo: abbi pietà di me” – ha detto Papa Francesco, rimuovendo il dogma dell’infallibilità del Pontefice della Chiesa Cattolica – e poi ha aggiunto: ”E quanto più gran peccatore tu sei, più il Signore è vicino a te”. Un Dio misericordioso, quindi, quello di Bergoglio. Che tuttavia non era stato tale quando non aveva accettato che Caino, agricoltore, offrisse in dono al Signore i prodotti della terra, e non un animale, come suo fratello Abele, pastore, poteva fare. Abele, scrive José Saramago nell’ultimo capolavoro della sua vita, Caino, “invece di compenetrarsi nel dispiacere del fratello e consolarlo” – a causa del rifiuto delle sue offerte a Dio –, “lo schernì, e come se ciò non bastasse, si mise a decantare la propria persona, proclamandosi, davanti all’attonito e sconcertato caino, come un favorito del signore, un eletto da dio” (ndr: Saramago scrive Caino, come molti nomi propri, senza maiuscola).
C’è un altro Abele? C’è un altro Caino?
Quello che è certo è che Caino da quel momento, grazie soprattutto all’interpretazione cristiana – quella ebraica è stata meno manichea – diventa l’impersonificazione della cattiveria. Questa rigida contrapposizione tra Bene e Male, tra Abele e Caino, dà forza ad ogni interpretazione religiosa che si fondi sulla necessità di una redenzione, o di un giudizio universale, e che dia leggi morali per vivere fino alla morte. In verità, prima dell’affermazione globale delle grandi religioni monoteistiche, l’innovazione della civiltà romana – figlia della piccola democrazia ateniese – con lo “ius romanum”, dava agli uomini e al loro ordinamento i fondamenti per giudicare il bene e il male. Non era ancora il diritto universale, ma quella straordinaria costruzione morale e giuridica ne rappresenta storicamente il fondamento. Dopo il crollo della civiltà romana, il potere delle autorità religiose, fino alla fondazione dello Stato moderno, e fino alla rivoluzione umanistica del Rinascimento, è stato assoluto. Caino è il simbolo del male. Dante Alighieri chiama “Caina” la prima zona del nono cerchio dell’Inferno, dove si trovano gli uccisori dei consanguinei. Tommaso Hobbes, condividendo con l’interpretazione prevalente biblica la convinzione dell’innata natura violenta e cattiva dell’essere umano, a fondamento di questo nuovo ordine immagina il Leviatano, un potere assoluto capace di impedire il dilagare del male e della violenza. Occorrerà aspettare il secolo dei Lumi per affermare una diversa convinzione – da quella del buon selvaggio di Jean Jacques Rousseau alla Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789 – di un’idea di cittadinanza per tutti gli esseri umani.
C’è però, nella lingua italiana, anche un grande equivoco filologico.